
Illustrazione di Domenico "Domeddi" Esposito
Grizz è cresciuto nella capitale dei Regni Liberi, Amar, o meglio nell’orfanotrofio della città. Venne abbandonato da una donna fin troppo giovane per essere madre, quando aveva solo pochi giorni e come unico lascito il suo vero nome; Goran.
Si può dire che fu il classico bambino vivace, testardo e fin troppo sveglio per uno della sua età, e non ci volle molto prima di arrivare alla realizzazione che le mura dell’orfanotrofio erano più una gabbia che un luogo sicuro e protetto. Così cominciarono le sue scappatelle notturne, apprendendo i segreti di quella vibrante e variegata capitale, tanto attiva di notte quanto di giorno. E quella libertà gli piaceva. Le luci delle lanterne illuminavano i tendoni colorati dei mercanti, riflettevano sui vetri di case e botteghe, e trovava che i loro giochi d’ombra donavano ad Amar un aspetto misterioso.
La piccola gnoma di nome Quna, cresciuta con lui all’orfanotrofio, lo ripeteva spesso. <<Non dovresti uscire di notte Goran, la città è pericolosa. Lo dice sempre anche il vecchio zio Taylor.>>
<<Ma così mi perderei tutti gli odori, Quna. Le facce delle persone, il casino del porto! >> Goran rispondeva, prima di raccontarle dove fosse stato e cosa avesse scoperto la notte precedente. Non voleva rinunciare alla sua libertà, ma realizzò in poco tempo che la sua amica aveva ragione. Il mondo poteva essere pericoloso e, per quanto si facesse furbo, era soltanto un ragazzino.
Una notte, durante le sue scorrazzate, conobbe per caso un gruppo di ragazzi che si facevano chiamare i Ratti. Erano tutti più grandi di lui e campavano alla meglio, rubacchiando e truffando in giro per la città. Seppure nessuno di loro avesse ancora raggiunto la maggiore età, erano estremamente abili e ben organizzati, al punto di avere il proprio covo in un magazzino abbandonato del porto. Goran si mise in testa di farne parte, e per due lunghe settimane li seguì ovunque, loro malgrado.
<<Vynce, sono piccolo ed agile. So districarmi bene tra le strade della città e posso mantenere un segreto. Cosa vi costa avere un membro in più nella squadra?>> Ripeté per l’ennesima volta Goran.
<<Per gli dei! Ma tu non ti stanchi mai? E va bene Goran, me le hai riempite e mi sono anche scoppiate! Ma ti avverto, non è vita facile ok? Mi aspetto che ti impegni.>>
<<Hai la mia parola, capo!>> il piccolo orfano era fuori di sé dall’emozione.
La piccola gnoma di nome Quna, cresciuta con lui all’orfanotrofio, lo ripeteva spesso. <<Non dovresti uscire di notte Goran, la città è pericolosa. Lo dice sempre anche il vecchio zio Taylor.>>
<<Ma così mi perderei tutti gli odori, Quna. Le facce delle persone, il casino del porto! >> Goran rispondeva, prima di raccontarle dove fosse stato e cosa avesse scoperto la notte precedente. Non voleva rinunciare alla sua libertà, ma realizzò in poco tempo che la sua amica aveva ragione. Il mondo poteva essere pericoloso e, per quanto si facesse furbo, era soltanto un ragazzino.
Una notte, durante le sue scorrazzate, conobbe per caso un gruppo di ragazzi che si facevano chiamare i Ratti. Erano tutti più grandi di lui e campavano alla meglio, rubacchiando e truffando in giro per la città. Seppure nessuno di loro avesse ancora raggiunto la maggiore età, erano estremamente abili e ben organizzati, al punto di avere il proprio covo in un magazzino abbandonato del porto. Goran si mise in testa di farne parte, e per due lunghe settimane li seguì ovunque, loro malgrado.
<<Vynce, sono piccolo ed agile. So districarmi bene tra le strade della città e posso mantenere un segreto. Cosa vi costa avere un membro in più nella squadra?>> Ripeté per l’ennesima volta Goran.
<<Per gli dei! Ma tu non ti stanchi mai? E va bene Goran, me le hai riempite e mi sono anche scoppiate! Ma ti avverto, non è vita facile ok? Mi aspetto che ti impegni.>>
<<Hai la mia parola, capo!>> il piccolo orfano era fuori di sé dall’emozione.
Passarono cinque lunghi anni, Goran divenne un valido membro dei Ratti e con alcuni di loro nacque un legame fraterno. Passava sempre più tempo in strada e sempre meno all’orfanotrofio, nonostante zio Taylor avesse provato a rinchiuderlo in camera. Col tempo però, il vecchio si rassegnò alla realtà che nulla avrebbe potuto trattenerlo. Goran continuò a raccontare le magnifiche avventure e la sua vita nei Ratti a Quna, che al contrario di lui si interessava molto più allo studio che alla vita fuori l’orfanotrofio. Ma i due erano cresciuti assieme e si tolleravano a vicenda, ed alle storie di Goran, la gnoma rispondeva con i racconti e le gesta degli eroi dei libri che leggeva.
Tutto cambiò quando i Ratti vennero in possesso di una informazione che avrebbe potuto farli arricchire oltre misura:
<<Si chiama L’Onda Smeraldo e arriverà al porto all’alba. Rientrano da un viaggio di due anni per le terre dell’Occidente.>> Merika aveva origliato il Comandante del porto parlare con il vice comandante delle guardie
<<E questo dovrebbe essere il punto di svolta?>> Goran rispose, non nascondendo la sua espressione dubbiosa.
<<Immagina su quanti tesori hanno messo le mani, bambino. Quante monete pioveranno nelle nostre borse stamattina!>>
Dopo tutto quel tempo non aveva mai smesso di chiamarlo a quel modo e continuava a punzecchiarlo di proposito ad ogni occasione. Goran non aveva voglia di discutere con lei per l'ennesima volta, quindi soppresse il sentimento di rabbia che riaffiorò in superfice, prima di continuare.
<<Non abbiamo nessuna informazione sicura sul carico, e il fatto che sono coinvolte le guardie cittadine fa aumentare le probabilità di fallimento.>>
<<Ma aumentano anche quelle del ricavo, Goran.>> Darius esordì, guadagnandosi la maggioranza delle approvazioni dei Ratti.
<<In effetti le guardie non si fanno scomodare se non è qualcosa di veramente importante.>> Qualcun altro aveva rimarcato.
Anche se Goran aveva un brutto presentimento a riguardo, non disse nulla e cominciò a prepararsi con gli altri. Incrociò lo sguardo di Vynce e capì che la pensava come lui.
L’alba arrivò fin troppo presto, ma tutti i Ratti erano in posizione. L’Onda Smeraldo iniziò la manovra di attracco mentre le guardie cominciarono a muoversi verso il molo. Goran ne contò due gruppi da quattro. Il piano era semplice: nel caso la nave fosse stata solo di passaggio, avrebbero aspettato la notte per intrufolarsi con il vantaggio delle tenebre, ma per loro fortuna i marinai avevano cominciato a scaricare la nave e spostare tutto nel deposito li di fronte. Non avrebbero dovuto far altro che entrare dalle finestre superiori e riempire quante più borse potessero.
Non ci volle molto prima che le porte del deposito fossero sbarrate ed incatenate. Merika, Vynce, Mignolo e Lussras attesero qualche secondo prima di calarsi al suo interno, ma lo sguardo di Goran era stato attirato verso la nave. Aveva contato diciotto persone tra marinai e guardie, ma dal magazzino ne erano uscite solo sedici. Qualcuno era rimasto all’interno. Non ebbe neanche il tempo di muoversi che una voce gridò.
<<INTRUSI!>>
Le guardie all’esterno si voltarono immediatamente e cominciarono ad armeggiare con i catenacci, mentre dal magazzino si levavano le urla dei suoi compagni. Dalla finestra sul tetto vide Vynce a terra con una grossa ferita alla schiena. Lussras stava cercando di tirarlo via ma perdeva sangue dalla testa, mentre Merika e Mignolo si difendevano alla meglio dai fendenti della guardia e del marinaio. Goran non attese un momento di più: calandosi abilmente sulla grata del mezzanino, balzò sul pavimento di pietra atterrando alle spalle dei due adulti. Un rapido fendente alla gamba con il suo pugnale fece piombare il marinaio a terra, ma la guardia si girò in un attimo pronta a colpirlo. La lama prese Goran solo di striscio sul petto, per sua fortuna, essendosi riuscito a schivarlo, ma quella distrazione bastò per permettere a Mignolo e Merika di tramortire il soldato. Si catapultarono in un attimo dagli altri, pronti a tirarli su e scappare via, ma la pallida espressione del loro compagno ed i suoi occhi vacui annunciarono il peggio: Vynce era morto.
Goran non ricorda con precisione gli eventi seguenti, non ha memoria di come si siano arrampicati fino al mezzanino e su per la finestra, nè la fuga per i tetti. Gli unici ricordi più nitidi sono le sue mani strette attorno le spalle di Vynce, ed un assordante ronzio nelle sue orecchie.
Lasciarono il corpo del loro compagno caduto ad un destino di cui solo gli dei erano a conoscenza e raggiunsero la loro base, feriti e indolenziti. Goran non disse una parola durante tutto il tragitto. Nessuno lo fece. I compagni rimasti al magazzino abbandonato smisero di fare domande quando capirono il perché fossero tornati con uno in meno. Il dolore ed il senso di colpa erano le uniche cose che tutti senissero, ed il tempo sembrava essersi fermato. Tranne che per una persona.
Merika tirò fuori un bauletto di piccole dimensioni, lo posò su una cassa e lo aprì con cautela.
<<Cos’è quello?>> la voce di Goran ruppe il silenzio. Merika rispose distrattamente
<<Non lo so. Non c’erano mica le istruzioni.>>
Goran sentì il sangue ardergli e si alzò di scatto senza rendersene conto. Si avvicinò a passi lenti ma decisi, fissando con un misto d’odio e di incredulità il contenuto del bauletto. Era una piccola statua in pietra intagliata grezzamente a forma di orso, in piedi sulle zampe posteriori.
<<Non avvicinarti, questa è mia, bambino.>>
<<STAI ZITTA!>> Goran la colpì violentemente al volto facendole perdere l’equilibrio, ma la tenne su afferrandola per la camicia. <<Vynce è morto per colpa tua!>> la colpì di nuovo, urlando a squarciagola. <<Stupida bastarda!>> un altro colpo. <<Non te ne frega niente?>> un altro ancora, poi la lasciò cadere. <<Tutto per questo pezzo di pietra?>>
Goran allungò una mano verso la statua. Voleva spaccargliela sui denti, continuare a colpirla fino a non riuscire più a respirare. Alcuni sui compagni scattarono verso di lui provando a calmarlo, ma nell’esatto momento in cui le sue dita si chiusero attorno la pietra, una vibrazione gli attraversò il corpo e lo paralizzò. Il cuore cominciò a battergli all’impazzata, i muscoli gli si irrigidirono e sentì le sue ossa scricchiolare. Voleva urlare di dolore ma dalla sua bocca spalancata non uscì nessun suono. Provò a lasciare la statua, ma la sua mano non si aprì, poi cadde in ginocchio. Mignolo si fiondò ad aiutarlo, ma un violento ed involontario spintone lo tenne a distanza, mentre gli altri suoi compagni erano pietrificati da quello che stavano vedendo. Sentì dolori lancinanti per tutto il corpo ma quello più insopportabile era al petto: sembrava un grosso pugnale incandescente che lentamente scavava nella carne, sempre più in profondità, passando le ossa e gli organi per arrivando fino all’anima. Dopo quella che gli sembrò un’eternità di dolore, Goran si alzò a fatica ed incontrò gli sguardi dei suoi compagni, pieni di terrore così come i suoi. Riuscì solo a dare un' ultima occhiata alla statua che ancora stringeva tra le mani, prima che si sgretolasse. Poi svenne.
Tutto cambiò quando i Ratti vennero in possesso di una informazione che avrebbe potuto farli arricchire oltre misura:
<<Si chiama L’Onda Smeraldo e arriverà al porto all’alba. Rientrano da un viaggio di due anni per le terre dell’Occidente.>> Merika aveva origliato il Comandante del porto parlare con il vice comandante delle guardie
<<E questo dovrebbe essere il punto di svolta?>> Goran rispose, non nascondendo la sua espressione dubbiosa.
<<Immagina su quanti tesori hanno messo le mani, bambino. Quante monete pioveranno nelle nostre borse stamattina!>>
Dopo tutto quel tempo non aveva mai smesso di chiamarlo a quel modo e continuava a punzecchiarlo di proposito ad ogni occasione. Goran non aveva voglia di discutere con lei per l'ennesima volta, quindi soppresse il sentimento di rabbia che riaffiorò in superfice, prima di continuare.
<<Non abbiamo nessuna informazione sicura sul carico, e il fatto che sono coinvolte le guardie cittadine fa aumentare le probabilità di fallimento.>>
<<Ma aumentano anche quelle del ricavo, Goran.>> Darius esordì, guadagnandosi la maggioranza delle approvazioni dei Ratti.
<<In effetti le guardie non si fanno scomodare se non è qualcosa di veramente importante.>> Qualcun altro aveva rimarcato.
Anche se Goran aveva un brutto presentimento a riguardo, non disse nulla e cominciò a prepararsi con gli altri. Incrociò lo sguardo di Vynce e capì che la pensava come lui.
L’alba arrivò fin troppo presto, ma tutti i Ratti erano in posizione. L’Onda Smeraldo iniziò la manovra di attracco mentre le guardie cominciarono a muoversi verso il molo. Goran ne contò due gruppi da quattro. Il piano era semplice: nel caso la nave fosse stata solo di passaggio, avrebbero aspettato la notte per intrufolarsi con il vantaggio delle tenebre, ma per loro fortuna i marinai avevano cominciato a scaricare la nave e spostare tutto nel deposito li di fronte. Non avrebbero dovuto far altro che entrare dalle finestre superiori e riempire quante più borse potessero.
Non ci volle molto prima che le porte del deposito fossero sbarrate ed incatenate. Merika, Vynce, Mignolo e Lussras attesero qualche secondo prima di calarsi al suo interno, ma lo sguardo di Goran era stato attirato verso la nave. Aveva contato diciotto persone tra marinai e guardie, ma dal magazzino ne erano uscite solo sedici. Qualcuno era rimasto all’interno. Non ebbe neanche il tempo di muoversi che una voce gridò.
<<INTRUSI!>>
Le guardie all’esterno si voltarono immediatamente e cominciarono ad armeggiare con i catenacci, mentre dal magazzino si levavano le urla dei suoi compagni. Dalla finestra sul tetto vide Vynce a terra con una grossa ferita alla schiena. Lussras stava cercando di tirarlo via ma perdeva sangue dalla testa, mentre Merika e Mignolo si difendevano alla meglio dai fendenti della guardia e del marinaio. Goran non attese un momento di più: calandosi abilmente sulla grata del mezzanino, balzò sul pavimento di pietra atterrando alle spalle dei due adulti. Un rapido fendente alla gamba con il suo pugnale fece piombare il marinaio a terra, ma la guardia si girò in un attimo pronta a colpirlo. La lama prese Goran solo di striscio sul petto, per sua fortuna, essendosi riuscito a schivarlo, ma quella distrazione bastò per permettere a Mignolo e Merika di tramortire il soldato. Si catapultarono in un attimo dagli altri, pronti a tirarli su e scappare via, ma la pallida espressione del loro compagno ed i suoi occhi vacui annunciarono il peggio: Vynce era morto.
Goran non ricorda con precisione gli eventi seguenti, non ha memoria di come si siano arrampicati fino al mezzanino e su per la finestra, nè la fuga per i tetti. Gli unici ricordi più nitidi sono le sue mani strette attorno le spalle di Vynce, ed un assordante ronzio nelle sue orecchie.
Lasciarono il corpo del loro compagno caduto ad un destino di cui solo gli dei erano a conoscenza e raggiunsero la loro base, feriti e indolenziti. Goran non disse una parola durante tutto il tragitto. Nessuno lo fece. I compagni rimasti al magazzino abbandonato smisero di fare domande quando capirono il perché fossero tornati con uno in meno. Il dolore ed il senso di colpa erano le uniche cose che tutti senissero, ed il tempo sembrava essersi fermato. Tranne che per una persona.
Merika tirò fuori un bauletto di piccole dimensioni, lo posò su una cassa e lo aprì con cautela.
<<Cos’è quello?>> la voce di Goran ruppe il silenzio. Merika rispose distrattamente
<<Non lo so. Non c’erano mica le istruzioni.>>
Goran sentì il sangue ardergli e si alzò di scatto senza rendersene conto. Si avvicinò a passi lenti ma decisi, fissando con un misto d’odio e di incredulità il contenuto del bauletto. Era una piccola statua in pietra intagliata grezzamente a forma di orso, in piedi sulle zampe posteriori.
<<Non avvicinarti, questa è mia, bambino.>>
<<STAI ZITTA!>> Goran la colpì violentemente al volto facendole perdere l’equilibrio, ma la tenne su afferrandola per la camicia. <<Vynce è morto per colpa tua!>> la colpì di nuovo, urlando a squarciagola. <<Stupida bastarda!>> un altro colpo. <<Non te ne frega niente?>> un altro ancora, poi la lasciò cadere. <<Tutto per questo pezzo di pietra?>>
Goran allungò una mano verso la statua. Voleva spaccargliela sui denti, continuare a colpirla fino a non riuscire più a respirare. Alcuni sui compagni scattarono verso di lui provando a calmarlo, ma nell’esatto momento in cui le sue dita si chiusero attorno la pietra, una vibrazione gli attraversò il corpo e lo paralizzò. Il cuore cominciò a battergli all’impazzata, i muscoli gli si irrigidirono e sentì le sue ossa scricchiolare. Voleva urlare di dolore ma dalla sua bocca spalancata non uscì nessun suono. Provò a lasciare la statua, ma la sua mano non si aprì, poi cadde in ginocchio. Mignolo si fiondò ad aiutarlo, ma un violento ed involontario spintone lo tenne a distanza, mentre gli altri suoi compagni erano pietrificati da quello che stavano vedendo. Sentì dolori lancinanti per tutto il corpo ma quello più insopportabile era al petto: sembrava un grosso pugnale incandescente che lentamente scavava nella carne, sempre più in profondità, passando le ossa e gli organi per arrivando fino all’anima. Dopo quella che gli sembrò un’eternità di dolore, Goran si alzò a fatica ed incontrò gli sguardi dei suoi compagni, pieni di terrore così come i suoi. Riuscì solo a dare un' ultima occhiata alla statua che ancora stringeva tra le mani, prima che si sgretolasse. Poi svenne.
Quando si risvegliò, stesa alla sua destra e con la faccia medicata, giaceva ancora incosciente Merika. Mignolo invece lo guardava dall'altro lato, seduto a gambe incrociate.
<<Goran...>> non riuscì a dire altro.
<<Mi fa male tutto, Mignolo. Cosa mi è successo?>>
Il suo compagno non rispose fino a che Goran non si alzò sui gomiti.
<<Guarda tu stesso.>> disse aiutandolo a tirarsi su. Lo portò davanti ad uno specchio, poggiato su delle casse vuote, ma Goran ci mise un attimo a capire che quella cosa che vedeva fosse lui. Quello che notò subito fu il suo corpo ricoperto di una corta peluria grigio chiaro e fitta, simile a quella di un orso. Poi le sue spalle si erano allargate, le braccia e le gambe ingrossate, i suoi denti avevano lasciato posto a nuove ed appuntite zanne. Anche le sue dita erano artigliate, le unghie taglienti come lame. Solo i suoi occhi verde smeraldo erano rimasti gli stessi. Il riflesso nello specchio non poteva essere lui, eppure la realtà era evidente e lo colpì come una mazzata dietro la nuca.
<<Non so cosa ti sia successo, Goran. Nessuno di noi lo sa.>>
Goran si guardò attorno, ma non riuscì a sopportare le occhiate cariche di pena dei suoi compagni, intimoriti dal suo nuovo aspetto. Scappò via, lontano da quel magazzino e da quegli sguardi. I suoi piedi lo portarono nell'unico posto che avesse mai considerato casa, in cui era sempre stato accolto così come la prima volta che aveva varcato la sua soglia. Bussò alle porte dell'orfanotrofio, che vennero aperte proprio da zio Taylor. L'uomo sobbalzò nel vederlo, ma in quegli occhi grondanti di lacrime riconobbe subito il giovane Goran.
<<Goran...>> non riuscì a dire altro.
<<Mi fa male tutto, Mignolo. Cosa mi è successo?>>
Il suo compagno non rispose fino a che Goran non si alzò sui gomiti.
<<Guarda tu stesso.>> disse aiutandolo a tirarsi su. Lo portò davanti ad uno specchio, poggiato su delle casse vuote, ma Goran ci mise un attimo a capire che quella cosa che vedeva fosse lui. Quello che notò subito fu il suo corpo ricoperto di una corta peluria grigio chiaro e fitta, simile a quella di un orso. Poi le sue spalle si erano allargate, le braccia e le gambe ingrossate, i suoi denti avevano lasciato posto a nuove ed appuntite zanne. Anche le sue dita erano artigliate, le unghie taglienti come lame. Solo i suoi occhi verde smeraldo erano rimasti gli stessi. Il riflesso nello specchio non poteva essere lui, eppure la realtà era evidente e lo colpì come una mazzata dietro la nuca.
<<Non so cosa ti sia successo, Goran. Nessuno di noi lo sa.>>
Goran si guardò attorno, ma non riuscì a sopportare le occhiate cariche di pena dei suoi compagni, intimoriti dal suo nuovo aspetto. Scappò via, lontano da quel magazzino e da quegli sguardi. I suoi piedi lo portarono nell'unico posto che avesse mai considerato casa, in cui era sempre stato accolto così come la prima volta che aveva varcato la sua soglia. Bussò alle porte dell'orfanotrofio, che vennero aperte proprio da zio Taylor. L'uomo sobbalzò nel vederlo, ma in quegli occhi grondanti di lacrime riconobbe subito il giovane Goran.
Dopo quegli eventi, Goran decise di abbandonare Amar. Aveva bisogno di spingersi oltre quelle strade dove era cresciuto, piene di ricordi. Salutò zio Taylor e la sua amica Quna, con la promessa di tornare spesso. Varcò la porta orientale della città con la consapevolezza che sarebbe stato più libero che mai. Da quel momento, sarebbe stato Grizz.