Art by Francesca Agrillo
La strada per la pace
Rosy è una donna di mezza età dalla faccia gentile, sempre pronta a dare consigli e con le tasche piene di caramelle e cioccolatini. Si può dire che racchiude l’essenza della nonnina gentile e amorevole, ma dietro quegli occhi si cela un passato terribile.
Rosy ha avuto molti nomi nel corso della sua vita, ma nacque come Yan Ashenai nel piccolo villaggio di Syra, nella regione di Elimagna. Terza di cinque figli, crebbe in una famiglia molto religiosa che venerava il “Nomade”, conosciuto anche come il “Libero” o “Il Senzafaccia”, il dio che racchiude in sé stesso l’ideale di libertà e spensieratezza. Adorato non a caso, in quanto sia Yan che la sua famiglia fanno parte di una razza chiamata Cangianti, Cambiapelle per la gente comune, che secondo la teologia furono plasmati proprio dal Nomade all’alba dei tempi. Hanno la peculiare abilità di mutare il proprio aspetto fisico a piacimento, e per questo abilissimi nell’adattarsi a qualsiasi popolo ed integrarsi nelle comunità. Seppure abbiano questo innato potere, i Cangianti non amano mostrarlo e preferiscono condurre una vita serena e senza sregolatezze, seguendo il credo del proprio dio. Considerando anche che nella loro forma reale hanno la pelle pallida, pupille bianche e il viso con lineamenti piatti, quasi inesistenti, caratteristiche delle quali i più suscettibili potrebbero diffidare. Fu grazie a questa abilità che il padre di Yan riuscì ad aprire la propria forgia al villaggio, dove passarono degli anni piacevoli. Ma come tutte le belle cose, anche quei tempi erano destinati a terminare. La guerra d’unificazione, ormai in corso da più di cento anni, raggiunse il suo culmine, tanto da minacciare qualsiasi città e paese, grandi o piccoli che fossero, lasciando solo distruzione ovunque arrivasse. Il villaggio di Syra non venne risparmiato, seppure il suo destino fu diverso. Divenne infatti un vero e proprio avamposto militare, i suoi abitanti costretti a lavorare per l’esercito. Lo stesso padre di Yan fu sfruttato dalla milizia per forgiare sempre più armi per cifre irrisorie che a malapena riuscivano a sostenere la famiglia, mentre sua madre, abile guaritrice, riceveva costanti chiamate per i numerosi feriti che la guerra provocava. La tranquillità e la pace che fino ad allora avevano riempito le loro vite venne minata ulteriormente dai continui attacchi da parte delle truppe nemiche, che mietevano vittime ad ogni retata. La devastazione e la desolazione erano costanti, e ogni giorno venivano allestite pire funerarie, sia per i soldati che per gli abitanti del villaggio, tra il dolore straziante di chi ancora viveva. Sul mondo calò un velo lugubre.
Yan soffrì molto nel vedere la gioia che lentamente, giorno dopo giorno, le veniva portata via. Avrebbe soltanto voluto vivere in pace con i suoi familiari e amici, senza nessuna pretesa particolare. Avrebbe voluto che la guerra non fosse mai scoppiata. Ma la realtà era cruda e dura e nessuno degli attuali reggenti dimostrava alcun segno di cedimento. Eppure doveva esserci una soluzione per mettere la parola fine al conflitto. Rifletté a lungo e realizzò che la pace potesse essere decisa solo dalle persone che governavano le Regioni di quel continente tanto vario quanto frammentato. Un’idea la colpì: avrebbe dovuto lasciare la sua famiglia, sacrificare una vita intera, ma si sarebbe arruolata con l’obiettivo di scalare i ranghi fino a riuscire ad avere un’influenza diretta sul corso della guerra.
<<Questa è follia, Yan! Non hai idea a cosa vai incontro. Nessuno di noi lo sa!>> urlò il padre quando rivelò la propria scelta alla famiglia. <<Vai incontro a morte certa! E non posso permetterlo.>>
<<Ormai ho deciso, padre. La guerra non finirà se nessuno dall’interno decide di fermarla.>>
<<E perché devi essere proprio tu quella persona?>> La madre era in lacrime, aveva già capito che nessuna parola sarebbe servita per persuaderla a restare.
<<Perché nessuno sta facendo nulla, madre.>> rispose lei in tono dolce. <<Nessuno si fa domande sul perché di questa guerra e pensano tutti a salvare la propria vita, o seguire gli ordini, o sottomettere il paese vicino. Non siete stanchi di vivere così, tra le lacrime, il sangue e tirando avanti senza sapere che terrori porterà l’alba? Io si, e non posso più vedere la mia famiglia così. Non voglio che voi soffriate per le scelte di chi pensa ai propri fini.>>
Ci furono attimi di silenzio che sembrarono interminabili. Seppure era decisa a perseguire quella strada, una vena di panico scosse Yan nel profondo, ma decise di sopprimere la sensazione.
<<Abbandoneresti la tua famiglia, quindi? Per una speranza? Una idea che non si basa su alcun fondamento?>> Il padre riprese.
<<Non provare a farmi sentire in colpa padre. Ho deciso. Tornerò a vivere con voi, lo prometto.>>
Il fratello maggiore, Fin, si alzò e cominciò ad infilare qualche formaggio e della carne secca in una sacca. Aggiunse qualche fetta di pane e un otre d’acqua, poi con movimenti grevi lo diede alla sorella.
<<Il mio cuore è pesante nel vederti partire, sorellina, ma pieno di speranza come il tuo.>>
<<Fin…>>
<<Giuro che se non torni ti ammazzo.>> rispose con il sorriso ed una lacrima che solcava la guancia.
La separazione fu più dura di quanto Yan pensasse. A malincuore, anche il padre fu costretto ad arrendersi alla sua determinazione. Le diede qualche moneta e tutta la sua benedizione. La madre la tirò a sé in un forte e lungo abbraccio, invocando la protezione del Nomade su di lei prima di lasciarla andare. Yan salutò calorosamente i suoi fratelli, la piccola sorellina e raccomandò la famiglia a Fin, poi si allontanò, diretta verso il campo d’addestramento più vicino.
Si presentò al campo stanziato nella regione Amarian, al tempo alleata di Elimagna, come Lancell Juspear, un giovane umano cresciuto in una famiglia di contadini. L’addestramento durò due lunghi anni, durante i quali Lancell si distinse con constante impegno, risultati eccellenti ed un ottimo senso per la strategia. Non venne quindi mandato al fronte come soldato di quarto grado, ma fu inviato all’Avioporto di Amar con la carica di Capo Aviere. I cinque anni che ne seguirono videro molte battaglie, nelle quali l’abilità strategica di Lancell si dimostrò decisiva. Questo mise in una posizione di vantaggio la regione Amarian, che conquistò i territori vicini del Farrstat e del Norlàiden, entrambi a nord del continente. Lancell salì di rango fino ad essere investito col grado di Generale, ma non era ancora abbastanza. Aveva passato gli ultimi sette anni in completa dedizione alla sua causa, ma la guerra sembrava ancora lontana dalla fine e le udienze con il Reggente, durante le quali consigliava la pace con le altre regioni, trovavano sempre un secco diniego. Decise allora di cambiare piano e insisté nel formare una squadra di infiltrazione, guidata da lui, per indebolire gli eserciti nemici dall’interno. Pensò che se Amarian avesse dimostrato la sua superiorità, gli altri paesi avrebbero ceduto e concordato un armistizio.
<<Il problema delle truppe di fanteria è che sono numerose, quindi facilmente individuabili.>> Rispose Lancell quando gli chiesero l’utilità della squadra.
<<Ma abbiamo già spie ed esploratori che si avventurano nelle terre nemiche.>>
<<È questo il punto. Le nostre risorse di infiltrazione, sebbene svolgano un lavoro certosino, non si sono mai spinte all’interno degli accampamenti, né tanto meno nelle corti. Con le loro informazioni, la mia squadra sarà in grado di infiltrarsi senza problemi ed estirpare le erbacce alla radice.>> Non gli piacque per niente la scelta di parole che usò, ma vide che si guadagnò qualche consenso.
<<Generale Juspear, una risorsa come lei non dovrebbe essere in prima linea in territorio nemico. Resta, come ha fatto notare lei, estremamente pericoloso.>>
<<Non mi sono proposto a caso, Reggente. Le mie abilità stanno portando Amarian alla vittoria. Sa bene quanto questa guerra stia facendo soffrire il paese espletandone le risorse, e quanto io abbia chiesto che fosse valutata la pace con gli altri Reggenti. Vi sto offrendo una soluzione alternativa e soprattutto rapida. Inoltre lascerei in carica il mio secondo, il Sottogenerale Marco, che ho personalmente addestrato.>>
I consiglieri si scambiarono qualche parola, prima di riportare al Reggente, che con autorità esordì.
<<E sia! Che venga messo agli atti.>> fece un cenno allo scrivano che subito intinse la penna. <<Il Generale Juspear Lancell è incaricato dalla somma carica del Reggente nella formazione del Corpo di Infiltrazione. Autorizzo il Generale nella ricerca, a sua discrezione, dei membri del suddetto corpo. Sarà comunque il consiglio a stabilire le destinazioni delle infiltrazioni, e, se ritenuto necessario, smantellare l’operazione o il corpo stesso.>>
Il Reggente, i consiglieri e Lancell aspettarono che lo scrivano avesse trascritto completato l’atto, affisso il sigillo per certificarne l’ufficialità e, arrotolata la pergamena, la pose al Generale.
Lancell la prese come una vittoria. Aveva fatto un passo avanti verso la fine della guerra e non intendeva perdere un attimo di più. Durante la sua carriera militare aveva conosciuto numerosi soldati, ma sapeva già chi contattare per la sua squadra: aveva bisogno di persone che non avevano nulla da perdere, che sapessero diventare tutt’uno con le ombre e che fossero abbastanza fuori di testa da pensare fuori dagli schemi. Reclutò tre individui: Yormick, un uomo tutto muscoli con la passione per gli esplosivi; Shaleem, abilissimo con i pugnali e tanto misterioso quanto losco; e Varene, una giovane donna versata nella magia dell’illusione.
Come prime missioni, al gruppo furono assegnati obiettivi di profilo relativamente basso, per testare le capacità della squadra e la loro risposta alla pressione dell’incarico. Le prime settimane furono dure, tenere insieme quelle persone così diverse tra loro non era lavoro facile, ma il Generale riuscì comunque a farli funzionare, sfruttando i pochi punti in comune che li univano.
Erano bravi, pericolosamente bravi. Per tre anni vissero ai margini della società, avanzando in territorio nemico e passando tra accampamenti, villaggi, città e roccaforti. Arrivavano rapidi, senza preavviso, infiltrandosi con maestria grazie alle abilità del generale e quelle dei suoi sottoposti, e gli occhi che li osservavano andare via erano solo quelli senza vita dei morti che si lasciavano dietro. Tutta quella morte, tutto quel sangue e così poche urla. Finiva tutto in un attimo, ed era surreale. Lancell cercò di convincersi che il prezzo per la pace fosse attraversare prima un mare di sofferenza, ma in cuor suo sapeva che non era così. Ad ogni vita presa, un pezzo della sua anima gli veniva strappato. Mancava poco all’unificazione delle Regioni, e solo le tribù degli Orchi Grigi di Kal’Dareth ancora resistevano, minacciati da ogni direzione dal nuovo impero dei Regni Liberi. Erano una razza culturalmente avanzata ed altamente militarizzata, vivevano in tribù che collaboravano tra di loro e difficilmente commerciavano con le altre Regioni. Un solo Orco grigio era in grado di tener testa a tre, anche quattro abili soldati, e questo li rendeva particolarmente pericolosi, almeno secondo il Reggente. L’ultimo muro da scavalcare, l’ultima barriera da sfondare, e Lancell sarebbe potuto ritornare dalla sua famiglia dopo dieci interminabili anni.
Riuscirono, una notte, ad infiltrarsi nell’avamposto più vicino al confine con enorme fatica. I nemici erano ovunque e la magia illusoria di Varene, l’abilità del Generale e l’oscurità erano le uniche loro alleate, ma qualcosa andò storto. Ci furono dei rapidi movimenti e Lancell vide Shaleem torreggiare su di un Orco Grigio. Sangue sgorgava dalla gola della massiccia creatura, che si contorceva senza un suono nella polvere.
<<Dannate bestie!>> Shaleem sputò sul corpo della sua vittima agonizzante.
Poi suonò l’allarme.
Si trovarono sopraffatti prima di riuscire a fare dieci passi. Lancell menava fendenti e Yormick lanciava esplosivi sulle truppe che minacciose avanzavano verso di loro. Shaleem si fiondò sui nemici con un largo ghigno, completamente fuori di senno, scomparendo alla vista. Verena giaceva a terra in una pozza di sangue, le sue mani si agitavano disperate mentre le lame continuavano a colpirla. Yormick era dietro il Generale, ma venne accerchiato rapidamente
<<Finiamola col botto!>> urlò. Ed un secondo dopo si fece saltare in aria con una grossa esplosione, mietendo vittime attorno a lui.

Questa è la fine. Pensò Lancell.
Poi venne sbalzato indietro da un’altra esplosione, poco lontano da lui. E perse conoscenza.
Non seppe mai quanto tempo passò, ma quando riaprì gli occhi attorno a lui non c’erano altro che macerie e cadaveri. Nel cielo, due grosse navi corazzate con lo stemma di Amar si allontanavano dal campo degli Orchi Grigi. In lontananza ne scorse altre due, e due ancora nell’altra direzione. I regni liberi avevano deciso di attaccare apertamente senza pietà. Si concentrò sui corpi senza vita che lo circondavano e vide c’erano alcuni di statura parecchio più piccoli. Ragazzini. Qualcosa dentro di lui si ruppe, qualcosa ormai incrinato da tempo. Vomitò e pianse. Batté i pugni sulla terra insanguinata, urlò e vomitò di nuovo. Altri Orchi Grigi si alzarono, quelli miracolosamente ancora rimasti in vita, e scapparono via con il terrore negli occhi, diretti chissà dove. Infine anche Lancell, lentamente, si mise in piedi e cominciò a muoversi senza una meta.
Rifletté a lungo sull’accaduto. Era stato tradito. Shaleem, che chiaramente nutriva un odio particolare per gli Orchi Grigi, tenuto nascosto per chissà quanto tempo. Il Reggente, che aveva sicuramente dato l’ordine, con alle spalle la potenza di una nazione intera, di radere al suolo qualsiasi villaggio, accampamento o città si fossero trovati sulla avanzata delle navi, incurante della squadra di infiltrazione e del suo Generale che gli aveva portato tanta vittoria.
Generale. Pensò, poi ripeté con riluttanza. “Generale”.

Si strappò l’armatura di dosso, lanciò via le armi e urlò di rabbia fino a graffiarsi la gola. Una vita intera, dedicata a chi non aveva nessun rispetto della vita stessa, finita in meno di un’ora. Si prese a schiaffi sul corpo ed in faccia mentre lentamente si trasformava, come per scacciare via la figura di Lancell Juspear che ora odiava con tutta sé stessa. I suoi lineamenti mutarono, ancora e ancora, fino a trovare un senso di sicurezza in quelli di una giovane Elfa.
Le sue gambe la portarono lontano, e per mesi viaggiò vivendo di caccia, distante da tutti, ma aveva bisogno di rivedere il luogo dove tutto era cominciato: il suo villaggio. Ma prima ancora di arrivare a Syra rimase sgomenta da quello che trovò. Dal colle sul quale si trovava poteva scorgere benissimo la valle che ospitava anche il suo villaggio, ma tutto quello che riuscì a vedere fu un enorme faglia che tagliava la regione e si estendeva per chilometri, attraversando quella valle stessa, le colline circostanti e i monti in lontananza. Zolle di terreno fluttuavano su quel paesaggio deturpato, alcune minuscole e frammentate come un arcipelago, altre mastodontiche con ancora campi coltivati, fattorie o rigogliosa vegetazione, o almeno quello che ne restava: tutto era divelto o in pezzi, bruciato come se una grossa esplosione avesse fatto saltare tutto in aria fermandoli in quella posizione prima che potessero ricadere. Inoltre, quell’area era pervasa da una nebbiolina rossa. Kalish non aveva mai visto una cosa del genere e non riusciva a darsi una spiegazione, sapeva solo che la sua casa non c’era più. Cercò di inoltrarsi, raggiungerla comunque, ma le risultò impossibile. Una strana energia circondava la zona così peculiare, creando una barriera magica che le impediva l’accesso. Kalish provò fino allo stremo e con qualsiasi mezzo a sua disposizione prima di arrendersi e cadere in ginocchio, le lacrime agli occhi ed il cuore spezzato, con la consapevolezza che non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia.

In seguito apprese che, una notte sul finire della guerra, ci fu un enorme terremoto, seguito da un boato che arrivò alle orecchie di chi si trovava anche a più di dieci chilometri di distanza. Quando la mattina illuminò nuovamente i campi, quella terribile visione era lì, sinistra e spaventosa.
<<È successo qualche settimana fa, anzi quasi due mesi, ora che ci penso.>> Un uomo corpulento le disse. <<Abbiamo chiesto ai villaggi vicini, e anche a chi passava per qua, ma nessuno sapeva niente.>>
Per quanto indagasse, Kalish non trovò nessuno che avesse più informazioni riguardo l’accaduto, e dovette rassegnarsi alla realtà dei fatti. I sacrifici di una vita intera non importavano più e dentro di lei c’era ormai il vuoto. Vagò senza meta, evitando gli sguardi di chiunque incontrasse; era diventata ormai il fantasma di sé stessa. Cominciò a pregare, in cerca di conforto, ma il dolore era insopportabile e più volte chiese al Nomade l’importanza della sua esistenza, non riuscendo a trovarla lei stessa.
Il suo vagare la portò ad Amar, la città ormai capitale di tutto il continente. Prese le sembianze di una donna di mezza età ed entrò, sperando di trovare una risposta nel caos cittadino.
Conosceva bene la città, avendola visitata numerose volte durante i consigli di guerra, ma quel giorno la osservò con occhi diversi. Riscoprì la magia di quei vicoli, il caos che la caratterizzava, la singolare architettura che negli anni aveva attraversato epoche diverse, lasciandosi dietro uno spettacolare mosaico di stili che si mescolavano tra di loro, e i colori e gli odori del mercato. Fu proprio tra quelle botteghe, poggiata alla fontana della piazza, che conobbe Taylor, un uomo attempato, curvo e dai capelli grigi. Notò con dolore che aveva i suoi stessi occhi.
<<Io vivo all’orfanotrofio.>> le stava dicendo. <<Mi occupo di quelle povere anime, cerco di instillargli un po' di buon senso, sai. Il più delle volte fallendo.>> si fece una grossa risata.
<<Molto nobile, signor Taylor.>>
<<Mah, non lo faccio mica per me. So bene cosa significa essere abbandonato, ed essere una guida per quei ragazzi è il minimo per evitargli quello che ho passato io.>>
Quelle parole la colpirono nel profondo. Taylor aveva trovato un utilizzo alla sua solitudine, al suo dolore. Forse poteva farlo anche lei, in fondo.
<<Deve essere dura, però. Almeno credo.>>
<<Devo dire la verità, si. Molto. Da quando purtroppo mia moglie è morta, qualche anno fa, è stata dura. Ma io sono tutto quello che quei ragazzi hanno, e questo mi dà forza.>>
<<Magari posso dare io una mano, signor Taylor.>> Quelle parole uscirono istintivamente. Anche lei voleva sentirsi utile, ed era stanca di viaggiare senza una meta. Forse era questa l’opportunità giusta, il segno che aveva tanto pregato di ricevere dal suo dio.
Taylor soppesò quella proposta per un attimo.
<<Mah, non vorrei intralciare i tuoi piani di vita, sai.>>
<<Nessun intralcio. Non ho una meta, né un luogo che possa chiamare casa. Non ho una famiglia.>> le recò un grosso dolore pronunciare quelle ultime parole. <<Se per te va bene, mi fermerò all’orfanotrofio. Aiuterò anche io i ragazzi smarriti.>>
Ci fu ancora qualche attimo di silenzio, poi il vecchio accettò con un largo sorriso.
<<Per adesso puoi aiutarmi con la spesa.>> le porse una pesante sacca. <<E non mi hai detto il tuo nome>>
A quello non aveva ancora pensato, in effetti. Guardò attentamente il suo riflesso nell’acqua della fontana, sorpresa nello scoprire quale aspetto avesse assunto. E con un malinconico sorriso rispose.
<<Rosy. Mi chiamo Rosy.>> Come mia madre.
The path for freedom
Rosy is a middle-aged woman with a kind face, always ready to dispense advice and a pocketful of candies and chocolates. She embodies the essence of a sweet, loving grandmother, but behind those gentle eyes lies a dark and troubled past.
She has gone by many names in her life, but she was born as Yan Ashenai in the small village of Syra, located in the region of Elimagna. Third of five children, she grew up in a deeply religious family that worshipped “The Nomad,” also known as “The Free” or “The Faceless One,” a god who embodies the ideals of freedom and carefreeness. And not by chance, for Yan and her family belong to a race called the Changelings - or “Skinshifters,” as common folk call them - who, according to theology, were shaped by the Wanderer himself at the dawn of time. The gift bestowed upon them is unique: they can shift their physical appearance at will, which makes them masters at blending in with any people or culture. Yet despite their abilities, Changelings rarely flaunt them, favouring a peaceful, disciplined life, living by the teachings of their god. After all, their natural form—pale skin, white pupils and flat, almost featureless facial features—can be unsettling to the unaccustomed and sensitive eye. Thanks to this ability, Yan’s father managed to open his forge in the village, and for a time, life was good. But like all beautiful things, those days were never meant to last. The Unification War, raging for over a hundred years, finally reached its peak, threatening every city and village, large or small, and leaving destruction in its wake. Syra was no exception, though its fate was unique like few others. It became a military outpost, and its people forced to work for the army. Yan’s father was put to forging weapons for a meager pay that barely kept the family afloat, while her mother, a skilled healer, was constantly called upon to treat the wounded. Peace and serenity gave way to chaos and violence, and the village suffered repeated attacks from enemy forces, each raid bringing new casualties. Every day, funeral pyres were lit for soldiers and villagers alike, as unbearable grief weighed heavily on the survivors. A shroud of despair fell upon the world.
Yan’s heart broke a little more each day as joy was stripped from her life. She only wanted to live in peace with her family and friends, nothing more. She wished the war had never come. But reality was harsh and unrelenting. None of the current rulers showed any signs of surrender. Still, there had to be a way to end it all.
She thought long and hard and came to a bold conclusion: peace could only come from those in power. If she wanted to stop the war, she would have to reach the top. It would mean leaving her family behind, giving up everything, but she would enlist. She decided to climb the ranks until her voice could have shaped the course of the conflict.
<<This is madness, Yan! You have no idea what you're getting into. None of us does!>> her father shouted when she told them. <<You’re walking into certain death, and I won’t allow it.>>
<<I have made my decision, Father. This war won’t end unless someone from the inside decides to end it.>>
<<Why does it have to be you?>> her mother asked through tears. She already knew there was no stopping her daughter.
<<Because no one is doing anything, Mother.>> Yan said softly. <<No one asks why this war continues. Everyone is just following orders, or fighting to protect their own, or seeking to conquer the next land. Aren’t you tired of living like this, walking on tears and blood and never knowing what the morning will bring? I am. And I can’t bear to see our family suffer because of others' senseless ambitions.>>
Silence followed, an endless moment of heartbreak. Though she stood firm in her decision, a wave of fear surged through her, but she forced it down.
<<So you would abandon your family… for a dream? For an idea with no certainty that could ever work?>> Her father asked again.
<<Don’t try to guilt me, Father. I’ve made my choice. I promise I’ll come back to live with you all again.>>
Her older brother, Fin, stood up and packed a satchel with cheese and dried meat. He added slices of bread and a skin of water, then handed it to his sister with shaking hands.
<<My heart is aching watching you go, little sister, but it’s also full of hope, just like yours.>>
<<Fin…>>
<<If you don’t come back, I swear I’ll kill you.>> he said with a grin, a single tear rolling down his cheek.
The farewell was harder than Yan had imagined, and in the end even her father had to relent. He gave her a few coins and all his blessings. Her mother pulled her into a long, fierce hug, invoking the Nomad’s protection over her. She said warm goodbyes to her siblings, especially her little sister, and left for the nearest military training camp.
She arrived in Amarian, a Region allied with Elimagna, and enlisted under a new identity: Lancell Juspear, a young human from a humble farming family. The training lasted two grueling years, but Lancell excelled; disciplined, strategic, and always one step ahead. He was not sent to the frontlines like a low-ranked soldier but was instead posted to the Amar Airbase as Chief Aviator.
The next five years were full of battles. Lancell's brilliant strategy led Amarian to several victories, claiming the nearby regions of Farrstat and Norlàiden. His success earned him a promotion to General, but it still wasn’t enough. He had dedicated the last seven years of his life to this cause, yet the war still raged. Each time he suggested peace to the Regent, he was flatly rejected.
So he changed his approach.
He proposed forming an infiltration squad, led by himself, to weaken the enemy from within. His logic was simple: if Amarian demonstrated its clear superiority, the other regions would be forced to surrender and negotiate peace.
<<The problem with infantry is numbers: they’re easy to spot.>> Lancell said.
<<But we already have scouts and spies operating in enemy territory.>>
<<Exactly. They do meticulous work, but none have ever infiltrated enemy camps, let alone the other Regent's courts. With their intel, my team can go deeper and eliminate threats at the root.>>
He didn’t like how that sounded, but he won some support from the council.
<<General Juspear, a man of your stature shouldn’t be behind enemy lines. It’s far too dangerous.>>
<<I volunteered for a reason, Regent. My efforts are bringing Amarian closer to victory. You know how this war is draining our resources, and how many times I’ve pushed for peace. I offer a faster, more decisive alternative. I’ll leave my second-in-command, Sub-General Marco, in charge. He has been trained by me and will excel in filling my position.>>
After whispered deliberations, the council gave its consent.
<<So be it. Let it be recorded.>> declared the Regent, calling an assistant who promptly appeared with paper, ink, and royal sigil.
<<General Lancell Juspear is hereby authorized to form and lead the Infiltration Corps. He will choose its members at his discretion. The Council, however, retains authority over mission assignments and reserves the right to dissolve the operation if necessary.>>
The scroll was written, marked, and handed to Lancell. To him, it felt like a victory.
During his military career Lancell had met many soldiers, but for this mission he needed special people: those with nothing to lose, who could become one with the shadows, and who were just unhinged enough to think differently. He chose three: Yormick, a muscle-bound man with a passion for explosives; Shaleem, a dagger-wielding shadow with a shady past; and Varene, a young mage illusionist with a gift for deception. Their first missions were low-risk, just to test their cohesion and stress resilience. The group was chaotic, their personalities clashing at every turn, but under Lancell’s command, they began to operate like a single unit.
They were good. Dangerously good.
For three years, they lived on the fringe of society, slipping through enemy lands: camps, villages, fortresses. They struck fast, with surgical precision. Wherever they went, only the dead remained. It was all so fast. So clean. So surreal.
Lancell tried to convince himself that this was the price of peace—a sea of suffering to cross before reaching calm waters. But deep down, he knew it was a lie. With every life taken, a piece of his soul was torn away. Only one tribe stood between the Free Kingdoms and total unification: the Grey Orcs of Kal'Dareth. Highly organized, culturally rich, and fiercely strong, a single Orc could match three or four trained soldiers. They were the last stronghold between him and his travel back home.
One night, the squad slipped into a border outpost, barely avoiding detection thanks to Varene’s illusions, Lancell’s tactics, and the cover of night. But something went wrong. As soon as they stopped to debrief, Shaleem leapt onto a Grey Orc and slit its throat, the blood spurting silently as the giant writhed.
<<Filthy beasts.>> he spat on the corpse. Then the alarm rang. Chaos erupted all around them before they could move. Lancell swung his blade, and Yormick hurled explosives. Shaleem vanished into the madness of Grey Orcs, killing everyone on his path with a twisted smile on his face. Varene was struck down, while more enemies rained upon her. Yormick, cornered a few meters away from Lancell, grinned with rage.
<<Let’s go out with a big bang, shall we?>> shouted
He detonated a final massive charge with the explosives left, taking dozens with him. 
This is the end, Lancell thought.
A second, much closer explosion hurled him into the dirt. He tried to breathe but found no air, and a piercing pain in the ears and head started to manifest. Then everything went black.
He didn’t know how long he lay there, but when he finally awoke, the field was a graveyard. Overhead, far in the sky, a line of armored airships bearing the Amar crest surpassed the Gry Orcs camp, left in ruins. The Free Kingdoms had launched an all-out assault, without mercy or concern for the infiltration team. He looked around him, and between the corpses of the fallen, he saw small bodies. Children. It was then that something inside him shattered. He vomited, wept, beat the blood-soaked ground with his fists and screamed until his throat bled. The few surviving Orcs fled into the hills, haunted and broken.
Just like he was.
He had been betrayed by Shaleem, whose unexpected hate for Orcs had finally erupted. By the Regent, who had sacrificed the entire squad in a ruthless strike, indifferent even to the loss of his most successful general.
General, he thought. Then spat the word: “General.”
He tore off his armor, dropped his weapons into the mud, and screamed. Slapping his face, his chest, his arms in an act of self-inflicted pain, he forced his form to shift again and again, trying to erase the man he had become. The man he now despised.
Eventually, a young elven woman stared back from a muddy puddle. The gentle facial features were the opposite of Lancell's.
She wandered for months, alone with her thoughts, hunting for her survival. Until one day, almost without noticing it, she reached the hills near her home.
But, as strangely as it sounds, Syra was gone.
From where she stood, she saw a massive chasm, a floating rift tearing through the region from East to West. Bits of fields and ruined farms hovered in midair, like the aftermath of a magic explosion. Some chunks still bore crops and buildings, others burned. All of it frozen in some twisted, suspended destruction. A red mist hung over the valley, encompassing that ruination.
Kalish, as she now called herself, tried to enter in that mist, but a magical force repelled her. She fought it, cried, and crawled. But she could not reach home. All that she could do was to turn back once again, seeking answers.
Later, she learned that one night, near the war’s end, a powerful quake shook the earth with a roar that echoed for miles. And the next morning, the rift was all that was left of the country.
<<Happened 'bout two months ago, now that I think of it.>> a heavy-set man told her. <<We asked 'round, but no body knows a damn thing.>>
No one had answers. And Kalish had to face the truth.
Her sacrifices had meant nothing. Her family was gone. Her soul was empty. She wandered without a clue, a ghost of herself. She prayed for guidance and purpose, but none came.
Until she reached Amar, named the continent’s capital after the Unification War. She assumed the form of a middle-aged woman, entered the city, and watched it with new eyes. Amid the chaos, she found beauty: the twisting alleys, the blend of architectural styles, the colors and scents of the market. It was like the war never touched that place.
And it was there, on the border of a fountain, that she met Taylor, an old man resting and enjoying the sun.
<<I work at the orphanage.>> he told her. <<Try to teach those kids some common sense. Usually fail at it.>> he laughed.
<<Very noble of you, Mr. Taylor.>>
<<Nah, I don't see it like that. I know what it’s like to be abandoned. Being a guide for those kids… It’s the least I can do.>>
His words struck her. If he had found purpose in his pain, maybe she could too.
<<It must be hard though… I imagine.>>
<<It is. Especially since my wife passed away a few years back. But those kids...they’re all I have. And I’m all they’ve got. That gives me strength.>>
<<Maybe I could help out, Mr. Taylor.>> she said, without thinking. She longed to be useful, to stop drifting. Maybe this was the sign she had prayed for.
He hesitated, then he said.
<<I wouldn’t want to get in the way of your plans, miss.>>
<<I have none. No place to call home, and no family either.>> she said. Those words cut deeper than any blade.
<<If you’ll have me, I’ll stay at the orphanage. I'll help guide the lost.>>
Another moment passed. Then, Taylor smiled.
<<For start, you can help me with the groceries.>> he said, handing her a heavy sack. <<You haven’t told me your name.>>
She hadn’t thought of one. She looked at her reflection in the fountain’s water. Then, with a wistful smile, she replied.
<<Rosy. My name is Rosy.>>
Like my mother.
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