
Illustrazione di Francesca Agrillo
Rosy è una donna di mezza età dalla faccia gentile, sempre pronta a dare consigli e con le tasche piene di caramelle e cioccolatini. Si può dire che racchiude l’essenza della nonnina gentile e amorevole, ma dietro quegli occhi si cela un passato terribile.
Rosy ha avuto molti nomi nel corso della sua vita, ma nacque come Yan Ashenai nel piccolo villaggio di Syra, nella regione di Elimagna. Terza di cinque figli, crebbe in una famiglia molto religiosa che venerava il “Nomade”, conosciuto anche come il “Libero” o “Il Senzafaccia”, il dio che racchiude in sé stesso l’ideale di libertà e spensieratezza. Adorato non a caso, in quanto sia Yan che la sua famiglia fanno parte di una razza chiamata Cangianti, Cambiapelle per la gente comune, che secondo la teologia furono plasmati proprio dal Nomade all’alba dei tempi. Hanno la peculiare abilità di mutare il proprio aspetto fisico a piacimento, e per questo abilissimi nell’adattarsi a qualsiasi popolo ed integrarsi nelle comunità. Seppure abbiano questo innato potere, i Cangianti non amano mostrarlo e preferiscono condurre una vita serena e senza sregolatezze, seguendo il credo del proprio dio. Considerando anche che nella loro forma reale hanno la pelle pallida, pupille bianche e il viso con lineamenti piatti, quasi inesistenti, caratteristiche delle quali i più suscettibili potrebbero diffidare. Fu grazie a questa abilità che il padre di Yan riuscì ad aprire la propria forgia al villaggio, dove passarono degli anni piacevoli. Ma come tutte le belle cose, anche quei tempi erano destinati a terminare. La guerra d’unificazione, ormai in corso da più di cento anni, raggiunse il suo culmine, tanto da minacciare qualsiasi città e paese, grandi o piccoli che fossero, lasciando solo distruzione ovunque arrivasse. Il villaggio di Syra non venne risparmiato, seppure il suo destino fu diverso. Divenne infatti un vero e proprio avamposto militare, i suoi abitanti costretti a lavorare per l’esercito. Lo stesso padre di Yan fu sfruttato dalla milizia per forgiare sempre più armi per cifre irrisorie che a malapena riuscivano a sostenere la famiglia, mentre sua madre, abile guaritrice, riceveva costanti chiamate per i numerosi feriti che la guerra provocava. La tranquillità e la pace che fino ad allora avevano riempito le loro vite venne minata ulteriormente dai continui attacchi da parte delle truppe nemiche, che mietevano vittime ad ogni retata. La devastazione e la desolazione erano costanti, e ogni giorno venivano allestite pire funerarie, sia per i soldati che per gli abitanti del villaggio, tra il dolore straziante di chi ancora viveva. Sul mondo calò un velo lugubre.
Yan soffrì molto nel vedere la gioia che lentamente, giorno dopo giorno, le veniva portata via. Avrebbe soltanto voluto vivere in pace con i suoi familiari e amici, senza nessuna pretesa particolare. Avrebbe voluto che la guerra non fosse mai scoppiata. Ma la realtà era cruda e dura e nessuno degli attuali reggenti dimostrava alcun segno di cedimento. Eppure doveva esserci una soluzione per mettere la parola fine al conflitto. Rifletté a lungo e realizzò che la pace potesse essere decisa solo dalle persone che governavano le Regioni di quel continente tanto vario quanto frammentato. Un’idea la colpì: avrebbe dovuto lasciare la sua famiglia, sacrificare una vita intera, ma si sarebbe arruolata con l’obiettivo di scalare i ranghi fino a riuscire ad avere un’influenza diretta sul corso della guerra.
<<Questa è follia, Yan! Non hai idea a cosa vai incontro. Nessuno di noi lo sa!>> urlò il padre quando rivelò la propria scelta alla famiglia. <<Vai incontro a morte certa! E non posso permetterlo.>>
<<Ormai ho deciso, padre. La guerra non finirà se nessuno dall’interno decide di fermarla.>>
<<E perché devi essere proprio tu quella persona?>> La madre era in lacrime, aveva già capito che nessuna parola sarebbe servita per persuaderla a restare.
<<Perché nessuno sta facendo nulla, madre.>> rispose lei in tono dolce. <<Nessuno si fa domande sul perché di questa guerra e pensano tutti a salvare la propria vita, o seguire gli ordini, o sottomettere il paese vicino. Non siete stanchi di vivere così, tra le lacrime, il sangue e tirando avanti senza sapere che terrori porterà l’alba? Io si, e non posso più vedere la mia famiglia così. Non voglio che voi soffriate per le scelte di chi pensa ai propri fini.>>
Ci furono attimi di silenzio che sembrarono interminabili. Seppure era decisa a perseguire quella strada, una vena di panico scosse Yan nel profondo, ma decise di sopprimere la sensazione.
<<Abbandoneresti la tua famiglia, quindi? Per una speranza? Una idea che non si basa su alcun fondamento?>> Il padre riprese.
<<Non provare a farmi sentire in colpa padre. Ho deciso. Tornerò a vivere con voi, lo prometto.>>
Il fratello maggiore, Fin, si alzò e cominciò ad infilare qualche formaggio e della carne secca in una sacca. Aggiunse qualche fetta di pane e un otre d’acqua, poi con movimenti grevi lo diede alla sorella.
<<Il mio cuore è pesante nel vederti partire, sorellina, ma pieno di speranza come il tuo.>>
<<Fin…>>
<<Giuro che se non torni ti ammazzo.>> rispose con il sorriso ed una lacrima che solcava la guancia.
<<Questa è follia, Yan! Non hai idea a cosa vai incontro. Nessuno di noi lo sa!>> urlò il padre quando rivelò la propria scelta alla famiglia. <<Vai incontro a morte certa! E non posso permetterlo.>>
<<Ormai ho deciso, padre. La guerra non finirà se nessuno dall’interno decide di fermarla.>>
<<E perché devi essere proprio tu quella persona?>> La madre era in lacrime, aveva già capito che nessuna parola sarebbe servita per persuaderla a restare.
<<Perché nessuno sta facendo nulla, madre.>> rispose lei in tono dolce. <<Nessuno si fa domande sul perché di questa guerra e pensano tutti a salvare la propria vita, o seguire gli ordini, o sottomettere il paese vicino. Non siete stanchi di vivere così, tra le lacrime, il sangue e tirando avanti senza sapere che terrori porterà l’alba? Io si, e non posso più vedere la mia famiglia così. Non voglio che voi soffriate per le scelte di chi pensa ai propri fini.>>
Ci furono attimi di silenzio che sembrarono interminabili. Seppure era decisa a perseguire quella strada, una vena di panico scosse Yan nel profondo, ma decise di sopprimere la sensazione.
<<Abbandoneresti la tua famiglia, quindi? Per una speranza? Una idea che non si basa su alcun fondamento?>> Il padre riprese.
<<Non provare a farmi sentire in colpa padre. Ho deciso. Tornerò a vivere con voi, lo prometto.>>
Il fratello maggiore, Fin, si alzò e cominciò ad infilare qualche formaggio e della carne secca in una sacca. Aggiunse qualche fetta di pane e un otre d’acqua, poi con movimenti grevi lo diede alla sorella.
<<Il mio cuore è pesante nel vederti partire, sorellina, ma pieno di speranza come il tuo.>>
<<Fin…>>
<<Giuro che se non torni ti ammazzo.>> rispose con il sorriso ed una lacrima che solcava la guancia.
La separazione fu più dura di quanto Yan pensasse. A malincuore, anche il padre fu costretto ad arrendersi alla sua determinazione. Le diede qualche moneta e tutta la sua benedizione. La madre la tirò a sé in un forte e lungo abbraccio, invocando la protezione del Nomade su di lei prima di lasciarla andare. Yan salutò calorosamente i suoi fratelli, la piccola sorellina e raccomandò la famiglia a Fin, poi si allontanò, diretta verso il campo d’addestramento più vicino.
Si presentò al campo stanziato nella regione Amarian, al tempo alleata di Elimagna, come Lancell Juspear, un giovane umano cresciuto in una famiglia di contadini. L’addestramento durò due lunghi anni, durante i quali Lancell si distinse con constante impegno, risultati eccellenti ed un ottimo senso per la strategia. Non venne quindi mandato al fronte come soldato di quarto grado, ma fu inviato all’Avioporto di Amar con la carica di Capo Aviere. I cinque anni che ne seguirono videro molte battaglie, nelle quali l’abilità strategica di Lancell si dimostrò decisiva. Questo mise in una posizione di vantaggio la regione Amarian, che conquistò i territori vicini del Farrstat e del Norlàiden, entrambi a nord del continente. Lancell salì di rango fino ad essere investito col grado di Generale, ma non era ancora abbastanza. Aveva passato gli ultimi sette anni in completa dedizione alla sua causa, ma la guerra sembrava ancora lontana dalla fine e le udienze con il Reggente, durante le quali consigliava la pace con le altre regioni, trovavano sempre un secco diniego. Decise allora di cambiare piano e insisté nel formare una squadra di infiltrazione, guidata da lui, per indebolire gli eserciti nemici dall’interno. Pensò che se Amarian avesse dimostrato la sua superiorità, gli altri paesi avrebbero ceduto e concordato un armistizio.
<<Il problema delle truppe di fanteria è che sono numerose, quindi facilmente individuabili.>> Rispose Lancell quando gli chiesero l’utilità della squadra.
<<Ma abbiamo già spie ed esploratori che si avventurano nelle terre nemiche.>>
<<È questo il punto. Le nostre risorse di infiltrazione, sebbene svolgano un lavoro certosino, non si sono mai spinte all’interno degli accampamenti, né tanto meno nelle corti. Con le loro informazioni, la mia squadra sarà in grado di infiltrarsi senza problemi ed estirpare le erbacce alla radice.>> Non gli piacque per niente la scelta di parole che usò, ma vide che si guadagnò qualche consenso.
<<Generale Juspear, una risorsa come lei non dovrebbe essere in prima linea in territorio nemico. Resta, come ha fatto notare lei, estremamente pericoloso.>>
<<Non mi sono proposto a caso, Reggente. Le mie abilità stanno portando Amarian alla vittoria. Sa bene quanto questa guerra stia facendo soffrire il paese espletandone le risorse, e quanto io abbia chiesto che fosse valutata la pace con gli altri Reggenti. Vi sto offrendo una soluzione alternativa e soprattutto rapida. Inoltre lascerei in carica il mio secondo, il Sottogenerale Marco, che ho personalmente addestrato.>>
I consiglieri si scambiarono qualche parola, prima di riportare al Reggente, che con autorità esordì.
<<E sia! Che venga messo agli atti.>> fece un cenno allo scrivano che subito intinse la penna. <<Il Generale Juspear Lancell è incaricato dalla somma carica del Reggente nella formazione del Corpo di Infiltrazione. Autorizzo il Generale nella ricerca, a sua discrezione, dei membri del suddetto corpo. Sarà comunque il consiglio a stabilire le destinazioni delle infiltrazioni, e, se ritenuto necessario, smantellare l’operazione o il corpo stesso.>>
Il Reggente, i consiglieri e Lancell aspettarono che lo scrivano avesse trascritto completato l’atto, affisso il sigillo per certificarne l’ufficialità e, arrotolata la pergamena, la pose al Generale.
Lancell la prese come una vittoria. Aveva fatto un passo avanti verso la fine della guerra e non intendeva perdere un attimo di più. Durante la sua carriera militare aveva conosciuto numerosi soldati, ma sapeva già chi contattare per la sua squadra: aveva bisogno di persone che non avevano nulla da perdere, che sapessero diventare tutt’uno con le ombre e che fossero abbastanza fuori di testa da pensare fuori dagli schemi. Reclutò tre individui: Yormick, un uomo tutto muscoli con la passione per gli esplosivi; Shaleem, abilissimo con i pugnali e tanto misterioso quanto losco; e Varene, una giovane donna versata nella magia dell’illusione.
Come prime missioni, al gruppo furono assegnati obiettivi di profilo relativamente basso, per testare le capacità della squadra e la loro risposta alla pressione dell’incarico. Le prime settimane furono dure, tenere insieme quelle persone così diverse tra loro non era lavoro facile, ma il Generale riuscì comunque a farli funzionare, sfruttando i pochi punti in comune che li univano.
Si presentò al campo stanziato nella regione Amarian, al tempo alleata di Elimagna, come Lancell Juspear, un giovane umano cresciuto in una famiglia di contadini. L’addestramento durò due lunghi anni, durante i quali Lancell si distinse con constante impegno, risultati eccellenti ed un ottimo senso per la strategia. Non venne quindi mandato al fronte come soldato di quarto grado, ma fu inviato all’Avioporto di Amar con la carica di Capo Aviere. I cinque anni che ne seguirono videro molte battaglie, nelle quali l’abilità strategica di Lancell si dimostrò decisiva. Questo mise in una posizione di vantaggio la regione Amarian, che conquistò i territori vicini del Farrstat e del Norlàiden, entrambi a nord del continente. Lancell salì di rango fino ad essere investito col grado di Generale, ma non era ancora abbastanza. Aveva passato gli ultimi sette anni in completa dedizione alla sua causa, ma la guerra sembrava ancora lontana dalla fine e le udienze con il Reggente, durante le quali consigliava la pace con le altre regioni, trovavano sempre un secco diniego. Decise allora di cambiare piano e insisté nel formare una squadra di infiltrazione, guidata da lui, per indebolire gli eserciti nemici dall’interno. Pensò che se Amarian avesse dimostrato la sua superiorità, gli altri paesi avrebbero ceduto e concordato un armistizio.
<<Il problema delle truppe di fanteria è che sono numerose, quindi facilmente individuabili.>> Rispose Lancell quando gli chiesero l’utilità della squadra.
<<Ma abbiamo già spie ed esploratori che si avventurano nelle terre nemiche.>>
<<È questo il punto. Le nostre risorse di infiltrazione, sebbene svolgano un lavoro certosino, non si sono mai spinte all’interno degli accampamenti, né tanto meno nelle corti. Con le loro informazioni, la mia squadra sarà in grado di infiltrarsi senza problemi ed estirpare le erbacce alla radice.>> Non gli piacque per niente la scelta di parole che usò, ma vide che si guadagnò qualche consenso.
<<Generale Juspear, una risorsa come lei non dovrebbe essere in prima linea in territorio nemico. Resta, come ha fatto notare lei, estremamente pericoloso.>>
<<Non mi sono proposto a caso, Reggente. Le mie abilità stanno portando Amarian alla vittoria. Sa bene quanto questa guerra stia facendo soffrire il paese espletandone le risorse, e quanto io abbia chiesto che fosse valutata la pace con gli altri Reggenti. Vi sto offrendo una soluzione alternativa e soprattutto rapida. Inoltre lascerei in carica il mio secondo, il Sottogenerale Marco, che ho personalmente addestrato.>>
I consiglieri si scambiarono qualche parola, prima di riportare al Reggente, che con autorità esordì.
<<E sia! Che venga messo agli atti.>> fece un cenno allo scrivano che subito intinse la penna. <<Il Generale Juspear Lancell è incaricato dalla somma carica del Reggente nella formazione del Corpo di Infiltrazione. Autorizzo il Generale nella ricerca, a sua discrezione, dei membri del suddetto corpo. Sarà comunque il consiglio a stabilire le destinazioni delle infiltrazioni, e, se ritenuto necessario, smantellare l’operazione o il corpo stesso.>>
Il Reggente, i consiglieri e Lancell aspettarono che lo scrivano avesse trascritto completato l’atto, affisso il sigillo per certificarne l’ufficialità e, arrotolata la pergamena, la pose al Generale.
Lancell la prese come una vittoria. Aveva fatto un passo avanti verso la fine della guerra e non intendeva perdere un attimo di più. Durante la sua carriera militare aveva conosciuto numerosi soldati, ma sapeva già chi contattare per la sua squadra: aveva bisogno di persone che non avevano nulla da perdere, che sapessero diventare tutt’uno con le ombre e che fossero abbastanza fuori di testa da pensare fuori dagli schemi. Reclutò tre individui: Yormick, un uomo tutto muscoli con la passione per gli esplosivi; Shaleem, abilissimo con i pugnali e tanto misterioso quanto losco; e Varene, una giovane donna versata nella magia dell’illusione.
Come prime missioni, al gruppo furono assegnati obiettivi di profilo relativamente basso, per testare le capacità della squadra e la loro risposta alla pressione dell’incarico. Le prime settimane furono dure, tenere insieme quelle persone così diverse tra loro non era lavoro facile, ma il Generale riuscì comunque a farli funzionare, sfruttando i pochi punti in comune che li univano.
Erano bravi, pericolosamente bravi. Per tre anni vissero ai margini della società, avanzando in territorio nemico e passando tra accampamenti, villaggi, città e roccaforti. Arrivavano rapidi, senza preavviso, infiltrandosi con maestria grazie alle abilità del generale e quelle dei suoi sottoposti, e gli occhi che li osservavano andare via erano solo quelli senza vita dei morti che si lasciavano dietro. Tutta quella morte, tutto quel sangue e così poche urla. Finiva tutto in un attimo, ed era surreale. Lancell cercò di convincersi che il prezzo per la pace fosse attraversare prima un mare di sofferenza, ma in cuor suo sapeva che non era così. Ad ogni vita presa, un pezzo della sua anima gli veniva strappato. Mancava poco all’unificazione delle Regioni, e solo le tribù degli Orchi Grigi di Kal’Dareth ancora resistevano, minacciati da ogni direzione dal nuovo impero dei Regni Liberi. Erano una razza culturalmente avanzata ed altamente militarizzata, vivevano in tribù che collaboravano tra di loro e difficilmente commerciavano con le altre Regioni. Un solo Orco grigio era in grado di tener testa a tre, anche quattro abili soldati, e questo li rendeva particolarmente pericolosi, almeno secondo il Reggente. L’ultimo muro da scavalcare, l’ultima barriera da sfondare, e Lancell sarebbe potuto ritornare dalla sua famiglia dopo dieci interminabili anni.
Riuscirono, una notte, ad infiltrarsi nell’avamposto più vicino al confine con enorme fatica. I nemici erano ovunque e la magia illusoria di Varene, l’abilità del Generale e l’oscurità erano le uniche loro alleate, ma qualcosa andò storto. Ci furono dei rapidi movimenti e Lancell vide Shaleem torreggiare su di un Orco Grigio. Sangue sgorgava dalla gola della massiccia creatura, che si contorceva senza un suono nella polvere.
<<Dannate bestie!>> Shaleem sputò sul corpo della sua vittima agonizzante.
Poi suonò l’allarme.
Si trovarono sopraffatti prima di riuscire a fare dieci passi. Lancell menava fendenti e Yormick lanciava esplosivi sulle truppe che minacciose avanzavano verso di loro. Shaleem si fiondò sui nemici con un largo ghigno, completamente fuori di senno, scomparendo alla vista. Verena giaceva a terra in una pozza di sangue, le sue mani si agitavano disperate mentre le lame continuavano a colpirla. Yormick era dietro il Generale, ma venne accerchiato rapidamente
<<Finiamola col botto!>> urlò. Ed un secondo dopo si fece saltare in aria con una grossa esplosione, mietendo vittime attorno a lui.
Questa è la fine. Pensò Lancell.
Poi venne sbalzato indietro da un’altra esplosione, poco lontano da lui. E perse conoscenza.
Riuscirono, una notte, ad infiltrarsi nell’avamposto più vicino al confine con enorme fatica. I nemici erano ovunque e la magia illusoria di Varene, l’abilità del Generale e l’oscurità erano le uniche loro alleate, ma qualcosa andò storto. Ci furono dei rapidi movimenti e Lancell vide Shaleem torreggiare su di un Orco Grigio. Sangue sgorgava dalla gola della massiccia creatura, che si contorceva senza un suono nella polvere.
<<Dannate bestie!>> Shaleem sputò sul corpo della sua vittima agonizzante.
Poi suonò l’allarme.
Si trovarono sopraffatti prima di riuscire a fare dieci passi. Lancell menava fendenti e Yormick lanciava esplosivi sulle truppe che minacciose avanzavano verso di loro. Shaleem si fiondò sui nemici con un largo ghigno, completamente fuori di senno, scomparendo alla vista. Verena giaceva a terra in una pozza di sangue, le sue mani si agitavano disperate mentre le lame continuavano a colpirla. Yormick era dietro il Generale, ma venne accerchiato rapidamente
<<Finiamola col botto!>> urlò. Ed un secondo dopo si fece saltare in aria con una grossa esplosione, mietendo vittime attorno a lui.
Questa è la fine. Pensò Lancell.
Poi venne sbalzato indietro da un’altra esplosione, poco lontano da lui. E perse conoscenza.
Non seppe mai quanto tempo passò, ma quando riaprì gli occhi attorno a lui non c’erano altro che macerie e cadaveri. Nel cielo, due grosse navi corazzate con lo stemma di Amar si allontanavano dal campo degli Orchi Grigi. In lontananza ne scorse altre due, e due ancora nell’altra direzione. I regni liberi avevano deciso di attaccare apertamente senza pietà. Si concentrò sui corpi senza vita che lo circondavano e vide c’erano alcuni di statura parecchio più piccoli. Ragazzini. Qualcosa dentro di lui si ruppe, qualcosa ormai incrinato da tempo. Vomitò e pianse. Batté i pugni sulla terra insanguinata, urlò e vomitò di nuovo. Altri Orchi Grigi si alzarono, quelli miracolosamente ancora rimasti in vita, e scapparono via con il terrore negli occhi, diretti chissà dove. Infine anche Lancell, lentamente, si mise in piedi e cominciò a muoversi senza una meta.
Rifletté a lungo sull’accaduto. Era stato tradito. Shaleem, che chiaramente nutriva un odio particolare per gli Orchi Grigi, tenuto nascosto per chissà quanto tempo. Il Reggente, che aveva sicuramente dato l’ordine, con alle spalle la potenza di una nazione intera, di radere al suolo qualsiasi villaggio, accampamento o città si fossero trovati sulla avanzata delle navi, incurante della squadra di infiltrazione e del suo Generale che gli aveva portato tanta vittoria.
Generale. Pensò, poi ripeté con riluttanza. “Generale”.
Si strappò l’armatura di dosso, lanciò via le armi e urlò di rabbia fino a graffiarsi la gola. Una vita intera, dedicata a chi non aveva nessun rispetto della vita stessa, finita in meno di un’ora. Si prese a schiaffi sul corpo ed in faccia mentre lentamente si trasformava, come per scacciare via la figura di Lancell Juspear che ora odiava con tutta sé stessa. I suoi lineamenti mutarono, ancora e ancora, fino a trovare un senso di sicurezza in quelli di una giovane Elfa.
Generale. Pensò, poi ripeté con riluttanza. “Generale”.
Si strappò l’armatura di dosso, lanciò via le armi e urlò di rabbia fino a graffiarsi la gola. Una vita intera, dedicata a chi non aveva nessun rispetto della vita stessa, finita in meno di un’ora. Si prese a schiaffi sul corpo ed in faccia mentre lentamente si trasformava, come per scacciare via la figura di Lancell Juspear che ora odiava con tutta sé stessa. I suoi lineamenti mutarono, ancora e ancora, fino a trovare un senso di sicurezza in quelli di una giovane Elfa.
Le sue gambe la portarono lontano, e per mesi viaggiò vivendo di caccia, distante da tutti, ma aveva bisogno di rivedere il luogo dove tutto era cominciato: il suo villaggio. Ma prima ancora di arrivare a Syra rimase sgomenta da quello che trovò. Dal colle sul quale si trovava poteva scorgere benissimo la valle che ospitava anche il suo villaggio, ma tutto quello che riuscì a vedere fu un enorme faglia che tagliava la regione e si estendeva per chilometri, attraversando quella valle stessa, le colline circostanti e i monti in lontananza. Zolle di terreno fluttuavano su quel paesaggio deturpato, alcune minuscole e frammentate come un arcipelago, altre mastodontiche con ancora campi coltivati, fattorie o rigogliosa vegetazione, o almeno quello che ne restava: tutto era divelto o in pezzi, bruciato come se una grossa esplosione avesse fatto saltare tutto in aria fermandoli in quella posizione prima che potessero ricadere. Inoltre, quell’area era pervasa da una nebbiolina rossa. Kalish non aveva mai visto una cosa del genere e non riusciva a darsi una spiegazione, sapeva solo che la sua casa non c’era più. Cercò di inoltrarsi, raggiungerla comunque, ma le risultò impossibile. Una strana energia circondava la zona così peculiare, creando una barriera magica che le impediva l’accesso. Kalish provò fino allo stremo e con qualsiasi mezzo a sua disposizione prima di arrendersi e cadere in ginocchio, le lacrime agli occhi ed il cuore spezzato, con la consapevolezza che non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia.
In seguito apprese che, una notte sul finire della guerra, ci fu un enorme terremoto, seguito da un boato che arrivò alle orecchie di chi si trovava anche a più di dieci chilometri di distanza. Quando la mattina illuminò nuovamente i campi, quella terribile visione era lì, sinistra e spaventosa.
<<È successo qualche settimana fa, anzi quasi due mesi, ora che ci penso.>> Un uomo corpulento le disse. <<Abbiamo chiesto ai villaggi vicini, e anche a chi passava per qua, ma nessuno sapeva niente.>>
Per quanto indagasse, Kalish non trovò nessuno che avesse più informazioni riguardo l’accaduto, e dovette rassegnarsi alla realtà dei fatti. I sacrifici di una vita intera non importavano più e dentro di lei c’era ormai il vuoto. Vagò senza meta, evitando gli sguardi di chiunque incontrasse; era diventata ormai il fantasma di sé stessa. Cominciò a pregare, in cerca di conforto, ma il dolore era insopportabile e più volte chiese al Nomade l’importanza della sua esistenza, non riuscendo a trovarla lei stessa.
Il suo vagare la portò ad Amar, la città ormai capitale di tutto il continente. Prese le sembianze di una donna di mezza età ed entrò, sperando di trovare una risposta nel caos cittadino.
Conosceva bene la città, avendola visitata numerose volte durante i consigli di guerra, ma quel giorno la osservò con occhi diversi. Riscoprì la magia di quei vicoli, il caos che la caratterizzava, la singolare architettura che negli anni aveva attraversato epoche diverse, lasciandosi dietro uno spettacolare mosaico di stili che si mescolavano tra di loro, e i colori e gli odori del mercato. Fu proprio tra quelle botteghe, poggiata alla fontana della piazza, che conobbe Taylor, un uomo attempato, curvo e dai capelli grigi. Notò con dolore che aveva i suoi stessi occhi.
<<Io vivo all’orfanotrofio.>> le stava dicendo. <<Mi occupo di quelle povere anime, cerco di instillargli un po' di buon senso, sai. Il più delle volte fallendo.>> si fece una grossa risata.
<<Molto nobile, signor Taylor.>>
<<Mah, non lo faccio mica per me. So bene cosa significa essere abbandonato, ed essere una guida per quei ragazzi è il minimo per evitargli quello che ho passato io.>>
Quelle parole la colpirono nel profondo. Taylor aveva trovato un utilizzo alla sua solitudine, al suo dolore. Forse poteva farlo anche lei, in fondo.
<<Deve essere dura, però. Almeno credo.>>
<<Devo dire la verità, si. Molto. Da quando purtroppo mia moglie è morta, qualche anno fa, è stata dura. Ma io sono tutto quello che quei ragazzi hanno, e questo mi dà forza.>>
<<Magari posso dare io una mano, signor Taylor.>> Quelle parole uscirono istintivamente. Anche lei voleva sentirsi utile, ed era stanca di viaggiare senza una meta. Forse era questa l’opportunità giusta, il segno che aveva tanto pregato di ricevere dal suo dio.
Taylor soppesò quella proposta per un attimo.
<<Mah, non vorrei intralciare i tuoi piani di vita, sai.>>
<<Nessun intralcio. Non ho una meta, né un luogo che possa chiamare casa. Non ho una famiglia.>> le recò un grosso dolore pronunciare quelle ultime parole. <<Se per te va bene, mi fermerò all’orfanotrofio. Aiuterò anche io i ragazzi smarriti.>>
Ci fu ancora qualche attimo di silenzio, poi il vecchio accettò con un largo sorriso.
<<Per adesso puoi aiutarmi con la spesa.>> le porse una pesante sacca. <<E non mi hai detto il tuo nome>>
A quello non aveva ancora pensato, in effetti. Guardò attentamente il suo riflesso nell’acqua della fontana, sorpresa nello scoprire quale aspetto avesse assunto. E con un malinconico sorriso rispose.
<<Rosy. Mi chiamo Rosy.>> Come mia madre.
<<È successo qualche settimana fa, anzi quasi due mesi, ora che ci penso.>> Un uomo corpulento le disse. <<Abbiamo chiesto ai villaggi vicini, e anche a chi passava per qua, ma nessuno sapeva niente.>>
Per quanto indagasse, Kalish non trovò nessuno che avesse più informazioni riguardo l’accaduto, e dovette rassegnarsi alla realtà dei fatti. I sacrifici di una vita intera non importavano più e dentro di lei c’era ormai il vuoto. Vagò senza meta, evitando gli sguardi di chiunque incontrasse; era diventata ormai il fantasma di sé stessa. Cominciò a pregare, in cerca di conforto, ma il dolore era insopportabile e più volte chiese al Nomade l’importanza della sua esistenza, non riuscendo a trovarla lei stessa.
Il suo vagare la portò ad Amar, la città ormai capitale di tutto il continente. Prese le sembianze di una donna di mezza età ed entrò, sperando di trovare una risposta nel caos cittadino.
Conosceva bene la città, avendola visitata numerose volte durante i consigli di guerra, ma quel giorno la osservò con occhi diversi. Riscoprì la magia di quei vicoli, il caos che la caratterizzava, la singolare architettura che negli anni aveva attraversato epoche diverse, lasciandosi dietro uno spettacolare mosaico di stili che si mescolavano tra di loro, e i colori e gli odori del mercato. Fu proprio tra quelle botteghe, poggiata alla fontana della piazza, che conobbe Taylor, un uomo attempato, curvo e dai capelli grigi. Notò con dolore che aveva i suoi stessi occhi.
<<Io vivo all’orfanotrofio.>> le stava dicendo. <<Mi occupo di quelle povere anime, cerco di instillargli un po' di buon senso, sai. Il più delle volte fallendo.>> si fece una grossa risata.
<<Molto nobile, signor Taylor.>>
<<Mah, non lo faccio mica per me. So bene cosa significa essere abbandonato, ed essere una guida per quei ragazzi è il minimo per evitargli quello che ho passato io.>>
Quelle parole la colpirono nel profondo. Taylor aveva trovato un utilizzo alla sua solitudine, al suo dolore. Forse poteva farlo anche lei, in fondo.
<<Deve essere dura, però. Almeno credo.>>
<<Devo dire la verità, si. Molto. Da quando purtroppo mia moglie è morta, qualche anno fa, è stata dura. Ma io sono tutto quello che quei ragazzi hanno, e questo mi dà forza.>>
<<Magari posso dare io una mano, signor Taylor.>> Quelle parole uscirono istintivamente. Anche lei voleva sentirsi utile, ed era stanca di viaggiare senza una meta. Forse era questa l’opportunità giusta, il segno che aveva tanto pregato di ricevere dal suo dio.
Taylor soppesò quella proposta per un attimo.
<<Mah, non vorrei intralciare i tuoi piani di vita, sai.>>
<<Nessun intralcio. Non ho una meta, né un luogo che possa chiamare casa. Non ho una famiglia.>> le recò un grosso dolore pronunciare quelle ultime parole. <<Se per te va bene, mi fermerò all’orfanotrofio. Aiuterò anche io i ragazzi smarriti.>>
Ci fu ancora qualche attimo di silenzio, poi il vecchio accettò con un largo sorriso.
<<Per adesso puoi aiutarmi con la spesa.>> le porse una pesante sacca. <<E non mi hai detto il tuo nome>>
A quello non aveva ancora pensato, in effetti. Guardò attentamente il suo riflesso nell’acqua della fontana, sorpresa nello scoprire quale aspetto avesse assunto. E con un malinconico sorriso rispose.
<<Rosy. Mi chiamo Rosy.>> Come mia madre.